L’Hatha Yoga è forse la tradizione più conosciuta dello yoga, probabilmente perché quella che meglio ha saputo  adattarsi alla struttura e alle necessità psico-fisiche del mondo occidentale.

Si tratta tuttavia di un percorso antico,  che si concentra innanzitutto sul corpo come veicolo irrinunciabile del proprio percorso di vita, per giungere a trasformare la mente.

Ogni postura  rappresenta uno stimolo all’osservazione di come ciascuno si muove e sosta nello spazio, uno strumento di studio e di miglioramento della propria condizione psico-fisica.

La parola Hatha deriva dall’unione di Ha - Sole (parte maschile, destra, diurna, esteriore, parte anteriore del corpo, la metà sinistra razionale del cervello) e Tha - Luna (parte femminile, sinistra, notturna, interiore, la parte posteriore del corpo, la metà destra istintiva e intuitiva del cervello), e simboleggerebbe la necessità di unire le polarità per trascenderle nell’Uno.

L’Hatha Yoga insegna infatti al corpo la strada per riportare alla memoria consapevole la sua originale armonia unitaria, e ciò che più conta in questo percorso non è la prestazione fisica, che inevitabilmente varia a seconda dell’età, della storia individuale e della fase di vita in cui ci si trova, bensì la consapevolezza sul corpo, sul movimento e sul respiro,  da cui nascono grazia e bellezza: “C'è una gioia inaspettata nell'incontro di cielo e terra allo stesso tempo!" (Vanda Scaravelli)

La pratica dell' Hatha Yoga tende dunque al raggiungimento dell'equilibrio psicofisico, di una maggiore consapevolezza dei propri processi vitali, fisiologici e, più in generale, del proprio corpo in ogni sua parte.

Le posture che l’Hatha Yoga propone si chiamano, in lingua sanscrita, Asana e, oltre a donare elasticità ai  tessuti, flessibilità e allineamento posturale, sviluppano la comprensione esperienziale  dei concetti di tensione&rilascio,  pieno&vuoto, permettendo di sperimentare  l'abbandono di tutte le tensioni psicofisiche.

Il valore piu’ grande del termine Asana viene espresso da Patanjali, autore degli Yoga Sutra, rimandandoci alla qualità di relazione che intratteniamo con il corpo, con i muscoli e con le sensazioni, piuttosto che alle forme che possiamo assumere. Asana è essere fermamente stabili in uno spazio di agio “Stirasukha asanam” (Yoga Sutra II 46 ). Lo Yoga è dunque un percorso di conoscenza di sé in cui poter scoprire  nuove forme di risonanza e questo processo richiede quella capacità di ascolto che si apprende solo praticando.

Asana è la prima fase di questa educazione, sostenuta da quelli che Patanjali espone come i due pilastri di tutta la disciplina yogica: vairagya e abhyasa. Vairagya è la capacità di essere osservatore, esploratore, testimone. Abhyasa è la pratica attenta e costante, alla scoperta delle proprie risorse di salute ed energia, attraverso un atteggiamento cosciente e radioso.

L’una e l’altra uniti, pratica (Abhyasa) ed osservazione (Vairagya) sono gli strumenti che permettono di percepire, conoscere e fare esperienza dell’energia della vita in modo consapevole e sistemico; potremmo dire in unione, Yoga.

Nella quiete della mente impareremo ad ascoltare il linguaggio corporeo e per estensione impareremo a conoscere noi stessi.

LO YOGA E' UNO STATO, NON E' UNA CONOSCENZA.E' L'ESPERIENZA DI UNO STATO DI UNITA'. QUESTO STATO NON POSSIAMO CHE VIVERLO E SPERIMENTARLO. NON POSSIAMO INSEGNARLO, POSSIAMO SOLO TRASMETTERLO

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