Negli ultimi trent’anni la ricerca scienti!ca ha evidenziato e”etti signi!cativi della pratica di Mindfulness sia sul piano fisico che sulla dimensione emotiva.
In particolare si parla di:
– rafforzamento della risposta immunitaria
-rilassamento profondo in piena coscienza, che non ottunde l’attenzione, bensì la potenzia
-maggior controllo dei circuiti neuroendocrini e, in modo particolare, di quello dello stress
-maggiore coerenza cerebrale
-migliore comunicazione tra gli emisferi
-maggiore capacità di adattamento ai cambiamenti della vita.
-prevenzione del rimuginio (fattore che può condurre ad episodi depressivi in chi vi sia predisposto)
Un’area di ricerca che sta alimentando l’interesse nella Mindfulness, è quella sulla neuroplasticità, cioè la capacità della mente di cambiare il cervello.
Per comprendere meglio questo fenomeno, occorre pensare al nostro cervello come ad un muscolo: più alleniamo certe capacità della nostra mente, e più le aree
del cervello dedicate a quelle funzioni si ra”orzano aumentando l’e$cacia delle connessioni. In termini di neuroplasticità, lo yoga e la psicologia buddhista
potrebbero essere considerate come le perle del mondo antico: migliaia di anni fa, infatti, gli yogi compresero che per modi!care le proprie abitudini disfunzionali
e promuovere la salute bisognava partire dalla mente; una scoperta che la scienza occidentale ha oggi confermato. Il cervello è una materia plastica capace di
cambiamenti: quando si compie una nuova azione nasce una nuova connessione neurale che si ra”orza ogni volta che l’azione viene ripetuta. In sostanza questa
potrebbe essere la spiegazione neurobiologica dei samskara: secondo gli antichi yogi i samskara sono azioni o pensieri abituali che diventano via via piu’ profondi.
Tracciare nuovi solchi neurali sfruttando la neuroplasticità signi!ca dare vita a nuovi samskara e ra”orzarli tramite la pratica !no a creare nuove abitudini salutari
abbastanza forti da sostituire quelle disfunzionali.
La buona notizia è che abbiamo la possibilità di sviluppare in noi quelle abilità che ci permettono una vita più serena e autentica, serve solo un po’ di pratica.
La Mindfulness, riconosciuta come pratica d’eccellenza nello sviluppare nuove connessioni neurali, allena ad una sorta di attenzione focalizzata, che ci permette di
vedere il funzionamento interno della nostra mente. Essa ci aiuta ad uscire dagli schemi rigidi del “pilota automatico” che continua a ripetere comportamenti
radicati e risposte abituali, e ci permette di “nominare” e gestire le emozioni che stiamo vivendo, invece di essere sopra”atti da loro.
Quali sono dunque le aree del nostro cervello che risultano modi!cabili attraverso le pratiche di consapevolezza come la Mindfulness?
. Corteccia Anteriore del Cingolo – Aumento dell’autoregolazione
In particolare i ricercatori evidenziano come chi medita abbia una maggiore attività cerebrale rispetto ai non meditatori nella corteccia anteriore del cingolo, ovvero
una struttura del cervello all’interno della corteccia frontale che è coinvolta nell’abilità di indirizzare intenzionalmente la nostra attenzione verso un oggetto,
resistendo alle distrazioni . Inoltre sembra che questa regione sia anche implicata nella capacità di apprendere e$cacemente dalle passate esperienze, e
nell’a”rontare situazioni imprevedibili e mutevoli.
. Default Mode Network – Riduzione dell’ansia e del rimuginio
Allo stesso modo le pratiche di consapevolezza sembrano essere anche implicate all’interno della Default Mode Network, ovvero una rete di circuiti cerebrali
particolarmente attivi durante il rimuginio (il nostro chiacchiericcio mentale interno). Il Dott. Nicola De Pisapia (Docente presso il dipartimento di Psicologia e Scenze
Cognitive dell’Università di Trento) durante il suo ultimo convegno, dal titolo ”Neuroempowerment”, suggerisce che da recentissime ricerche condotte attraverso la
fMRI e altre tecniche di neuroimaging, emergono signi!cative di”erenze tra meditatori e non meditatori anche in relazione alle aree della Default Mode Network
Confrontando infatti i due gruppi, emerge che i NON meditatori presentano una maggiore densità di materia grigia nei nodi della Default Mode Network e
all’interno dell’amigdala destra (area del cervello particolarmente associata alla paura e a stati emotivi ansiogeni). Questo signi!ca che i meditatori, presentano
meno materia grigia nelle aree adibite al rimuginio, di conseguenza signi!ca che rimuginano tendenzialmente di meno e provano meno ansia.
. Ippocampo – Riduzione dello stress e maggiore memoria
Un’altra regione coinvolta nei cambiamenti della meditazione è l’ippocampo, una regione che mostra un aumento di materia grigia nei partecipanti ai percorsi di
MBSR (il protocollo per la riduzione dello stress “Mindfulness Based Stress Reduction”). L’Ippocampo è una regione del cervello a forma di cavalluccio marino
presente in entrambi gli emisferi e coinvolto nel sistema limbico, ovvero un insieme di strutture associate alle emozioni e alla memoria. L’ippocampo è molto
sensibile al cortisolo (l’ormone prodotto in situazioni di stress), ed un eccesso di questo ormone può dannegiarne la struttura ed il funzionamento cognitivo, con ad
esempio una perdita della memoria e ad un danneggiamento delle facoltà cognitive.
Il principale ambito che è stato usato per la validazione dell’e$cacia della meditazione e del protocollo Mindfulness MBSR è stato proprio l’ambito della riduzione
dello stress. Meno stress, più memoria, più concentrazione e libertà di scegliere, sono solo alcuni dei vantaggi che le Neuroscienze hanno riscontrato nei meditatori.
Oggi appare sempre più importante possedere queste caratteristiche di attenzione e stabilità per mostrarsi resilienti in un mondo altamente complesso. Le capacità
di messa a fuoco che fanno parte della Minfulness permettono di vedere ciò che c’è dentro, di accettarlo, e nell’accettazione, di trasformarlo per poi lasciarlo
andare. E questa abilità è apprendibile.